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Una guida per comprendere la storia contemporanea della Turchia
Frutto di ricerche ed approfondimenti fatti dal 2010 al 2016 sulla vita quotidiana della Turchia dal punto di vista economico, politico, artistico e sociale. Elezioni, libertà di stampa, referendum, rivolte popolari, manifestazioni di protesta, espressioni politiche, cultura artistica contemporanea, movimenti per la difesa dell’ambiente, le persone lgbttqi, religioni, differenze etniche, gentrification… Insomma uno strumento per comprendere meglio la Turchia di oggi. Una piccola guida storica, politica e sociale. Anno: 2016 Casa Editrice: Edizioni Simple |
Recensioni
"Quando Murat Cinar mi inviò il testo in PDF del suo libro Comprendere la Storia Contemporanea della Turchia, temetti di dover affrontare la lettura di 259 pagine riguardanti un paese che avevo ostracizzato sotto una piega recondita del mio inconscio. Ero restio, in un certo senso, perché credevo che la sola lettura avrebbe rifomentato in me l’astio nei confronti di uno stato che, cento e un anni fa, perpetrò uno dei crimini più atroci contro l’umanità: il genocidio degli armeni.
Premetto; sono un armeno della diaspora, discendente di gente sopravvissuta al genocidio, scampata dall’Anatolia dove viveva da secoli. Ero convinto che, in Turchia, la questione armena fosse condannata all’oblio, che fosse un argomento riesumato solo in occasione di sporadici episodi nefasti, come l’uccisione o l’incarcerazione di giornalisti e militanti quali sostenitori del riconoscimento del genocidio in questione. Nei casi migliori, che facesse parte di un argomento strumentalizzante e che servisse ai biechi fini propagandistici del politicante di turno. Devo ammettere, a mio sollievo, che il libro di Murat mi ha sorpreso piacevolmente. Sebbene, a oggi, il genocidio non sia stato riconosciuto dallo Stato turco, ebbi l’impressione che la Turchia sia un paese in cui si combatte, forse più di qualsiasi altro paese, perché la verità storica venga a galla. Ho letto con malcelata commozione alcuni tratti del libro, specie quelli in cui i turchi usano appellativi come “amici” oppure “fratelli” per rivolgersi ai membri della comunità armena. Improvvisamente, la Turchia mi e parso un paese cui passato è inderogabilmente intessuto alla Storia armena e che il suo futuro sia vincolato all’ammissione di colpa del crimine secolare di cui si macchiò.
Ma detto ciò, Comprendere la Storia Contemporanea della Turchia è molto più di un’indagine sul passato del paese. È una visone approfondita e completa dello stato attuale di un paese che, da sempre, si destreggia fra l’oriente e l’occidente. È un rapporto sul presente ma anche sul futuro che il suo popolo sogna, un popolo a cui sono stati negati dei diritti fondamentali come la libertà di espressione, il diritto all’aborto, i diritti politici e di uguaglianza sociale, i diritti di habeas corpus volti a proteggere ogni cittadino contro gli abusi del sistema giudiziario, quali incarcerazione senza processo, o con eccesso di punizione.
Mi auguro che la vicina Turchia trovi presto la via retta ai fini di garantirsi lo sviluppo sociale che merita. Leggendo il libro di Murat Cinar ho avuto la sensazione che sotto la coltre ghiacciata che la ricopre ci sia qualcosa di nuovo che stia spuntando.
Come una pianta immortale che, con l’arrivo della primavera, sta finalmente germogliando."
(Atene, 1 maggio 2016 - Vasken Berberian)
Premetto; sono un armeno della diaspora, discendente di gente sopravvissuta al genocidio, scampata dall’Anatolia dove viveva da secoli. Ero convinto che, in Turchia, la questione armena fosse condannata all’oblio, che fosse un argomento riesumato solo in occasione di sporadici episodi nefasti, come l’uccisione o l’incarcerazione di giornalisti e militanti quali sostenitori del riconoscimento del genocidio in questione. Nei casi migliori, che facesse parte di un argomento strumentalizzante e che servisse ai biechi fini propagandistici del politicante di turno. Devo ammettere, a mio sollievo, che il libro di Murat mi ha sorpreso piacevolmente. Sebbene, a oggi, il genocidio non sia stato riconosciuto dallo Stato turco, ebbi l’impressione che la Turchia sia un paese in cui si combatte, forse più di qualsiasi altro paese, perché la verità storica venga a galla. Ho letto con malcelata commozione alcuni tratti del libro, specie quelli in cui i turchi usano appellativi come “amici” oppure “fratelli” per rivolgersi ai membri della comunità armena. Improvvisamente, la Turchia mi e parso un paese cui passato è inderogabilmente intessuto alla Storia armena e che il suo futuro sia vincolato all’ammissione di colpa del crimine secolare di cui si macchiò.
Ma detto ciò, Comprendere la Storia Contemporanea della Turchia è molto più di un’indagine sul passato del paese. È una visone approfondita e completa dello stato attuale di un paese che, da sempre, si destreggia fra l’oriente e l’occidente. È un rapporto sul presente ma anche sul futuro che il suo popolo sogna, un popolo a cui sono stati negati dei diritti fondamentali come la libertà di espressione, il diritto all’aborto, i diritti politici e di uguaglianza sociale, i diritti di habeas corpus volti a proteggere ogni cittadino contro gli abusi del sistema giudiziario, quali incarcerazione senza processo, o con eccesso di punizione.
Mi auguro che la vicina Turchia trovi presto la via retta ai fini di garantirsi lo sviluppo sociale che merita. Leggendo il libro di Murat Cinar ho avuto la sensazione che sotto la coltre ghiacciata che la ricopre ci sia qualcosa di nuovo che stia spuntando.
Come una pianta immortale che, con l’arrivo della primavera, sta finalmente germogliando."
(Atene, 1 maggio 2016 - Vasken Berberian)
"E’ una coincidenza ma il libro di Murat Cinar si apre su un referendum costituzionale, quello del settembre 2010, che il partito al governo (cioè del sultano Erdogan) vinse con il 58 per cento dei voti, fra astensioni, intimidazioni e accuse di brogli. Un punto importante di quella riforma costituzionale era conservare limitatissima l’autonomia dei magistrati – come a suo tempo avevano voluto i militari golpisti – in modo da non “intralciare” lo strapotere che i governi intendono darsi e da coprire la corruzione che dilaga.
«Una guida per comprendere la storia contemporanea della Turchia» (264 pagine, 14 euri) è pubblicato dalle Edizioni Simple; su muratcinar.weebly.com/book.html ne t trovate una presentazione.
L’autore ha raccolto in questa «Guida…» alcuni dei suoi migliori articoli. Ne consiglio la lettura per capire i nodi di un Paese complesso che a volte sembra sul punto di intraprendere un cammino di libertà e altre volte appare prossimo all’esplosione “definitiva”. Sullo sfondo i legami della Turchia da una parte con gli Usa e con una ambigua Unione Europea e dall’altra con molte facce del terrorismo detto islamico.
Visto che codesta recensione è partita sul referendum costituzionale, provo a fare un riassunto – come lo deduco dal libro di Murat Cinar, ma ovviamente l’interpretazione è mia – sulle somiglianze e differenze fra Turchia e Italia.
Di certo nei due Paesi sono molto simili le privatizzazioni e i loro effetti perversi (sul sistema sanitario in primis), la speculazione edilizia e le devastazioni ecologiche, le amnistie comode per i potenti di turno… E qualche somiglianza si trova scavando dalle parti di Gladio e dei suoi tentacoli che arrivano fino all’oggi: di quella turca molto racconta Murat Cinar, su quella italiana invece è calato da tempo un comodo e quasi unanime silenzio.
Diverso è, in primo luogo, il quadro storico: in Italia non abbiamo una “infinita” tragedia come quella dei curdi oppressi e neanche l’ombra del genocidio armeno (le cui conseguenze si trascinano ancor oggi, come mostra l’assassinio di Hrant Dink del quale dopo si dirà) o la questione di Cipro. Differente anche – e spiace dirlo – la capacità di rivolta dei più giovani: in Turchia, nonostante la repressione, il movimento (non bisogna pensare solo a Parco Gezi) non molla mentre in Italia sembra, almeno a me, discontinuo e quasi evanescente. Ferocissima la repressione turca contro i giornalisti, più soft in Italia (ma viene il terribile dubbio che da noi non ci sia bisogno di manette o pistole perché nei media tante persone… si imbavagliano da sole). Assai differente anche l’offensiva contro i diritti delle donne: Erdogan sta portando avanti, pur con una forte opposizione, quello che gli ultrà italiani catto-reazionari per ora possono soltanto sognare. Anche la repressione generalizzata non è paragonabile: in Italia non si viene arrestati per “tweet solidali” ma in Turchia accade di frequente. Diversissima la situazione rispetto al terrorismo sedicente islamico, versione Isis: il governo turco in teoria fa parte della “coalizione” contro lo Stato Islamico ma in pratica lo aiuta in ogni modo (e non solo in funzione anti-curda); un crimine simile non si può attribuire ai governi italiani anche se la stretta collaborazione militare con Erdogan – come con l’Arabia Saudita e altri governi reazionari – in qualche modo rende il nostro Paese complice di questi delitti.
E’ chiaro che giocare ai “parallelismi” è interessante quanto difficile. Ma bisogna avere anche buona memoria. A esempio quando Murat Cinar racconta che una tv turca mostra sfocato – cioè censurato – il leonardesco “uomo di Vitruvio”, prima di sdegnarsi proviamo a ricordarci se … cose del genere avvengono anche nell’ipocrita “bel Paese”.
Ovviamente il libro di Murat Cinar è pieno di storie e persone; come insegna il buon giornalismo è da qui che si parte per poi disegnare un quadro complessivo, tentare l’analisi. Impressionanti le storie di due grandi e coraggiosi giornalisti tolti di mezzo dal potere: Hrant Dink, assassinato il 18 gennaio 2012, per la sua tenacia nel riaprire “la questione armena” e Ugur Mumcu eliminato nel 1993. Fra i tanti, impuniti omicidi “di regime” anche quello di Tahir Elci, copresidente dell’Associazione avvocati, freddato durante una conferenza stampa a Diyarbakir nel novembre 2015. Ma c’è anche “il candelotto di Stato” che colpisce il quattordicenne Berkin Elvan, morto dopo 169 giorni di coma.
Fra le belle storie quella del cantautore Ahmet Kaya (*). Ai limiti dell’incredibile la vicenda – poco nota da noi – di Erdem Gunduz, che per protesta è rimasto immobile per ore, diventando un inconsapevole leader.
Ovviamente Murat Cinar racconta le tante facce della Turchia: le destre estreme ma anche i movimenti lgbttqi; la casta ma anche la resistenza; i venti di guerra con Siria e Russia; i curdi e le curde in lotta contro la repressione e le frontiere ma anche contro quel patriarcato… che spesso si affaccia dentro ognuno di noi.
Se guardate le sue auto-presentazioni vedrete che Murat si definisce, senza peli sulla lingua, «un giornalista turco che vive da anni a Torino, conoscitore della realtà del suo Paese di origine, in cui le libertà fondamentali del giornalisti vengono quotidianamente negate». Nella prefazione al libro, Stefano Pacini – a sua volta reporter e redattore di «Maremma libertaria» – preferisce vederlo come uno “strano soldato” di quell’esercito (senza divise o generali) che è composto dai «popoli dolenti in lotta per la libertà»."
(Imola, 2 giugno 2016 - Daniele Barbieri)
«Una guida per comprendere la storia contemporanea della Turchia» (264 pagine, 14 euri) è pubblicato dalle Edizioni Simple; su muratcinar.weebly.com/book.html ne t trovate una presentazione.
L’autore ha raccolto in questa «Guida…» alcuni dei suoi migliori articoli. Ne consiglio la lettura per capire i nodi di un Paese complesso che a volte sembra sul punto di intraprendere un cammino di libertà e altre volte appare prossimo all’esplosione “definitiva”. Sullo sfondo i legami della Turchia da una parte con gli Usa e con una ambigua Unione Europea e dall’altra con molte facce del terrorismo detto islamico.
Visto che codesta recensione è partita sul referendum costituzionale, provo a fare un riassunto – come lo deduco dal libro di Murat Cinar, ma ovviamente l’interpretazione è mia – sulle somiglianze e differenze fra Turchia e Italia.
Di certo nei due Paesi sono molto simili le privatizzazioni e i loro effetti perversi (sul sistema sanitario in primis), la speculazione edilizia e le devastazioni ecologiche, le amnistie comode per i potenti di turno… E qualche somiglianza si trova scavando dalle parti di Gladio e dei suoi tentacoli che arrivano fino all’oggi: di quella turca molto racconta Murat Cinar, su quella italiana invece è calato da tempo un comodo e quasi unanime silenzio.
Diverso è, in primo luogo, il quadro storico: in Italia non abbiamo una “infinita” tragedia come quella dei curdi oppressi e neanche l’ombra del genocidio armeno (le cui conseguenze si trascinano ancor oggi, come mostra l’assassinio di Hrant Dink del quale dopo si dirà) o la questione di Cipro. Differente anche – e spiace dirlo – la capacità di rivolta dei più giovani: in Turchia, nonostante la repressione, il movimento (non bisogna pensare solo a Parco Gezi) non molla mentre in Italia sembra, almeno a me, discontinuo e quasi evanescente. Ferocissima la repressione turca contro i giornalisti, più soft in Italia (ma viene il terribile dubbio che da noi non ci sia bisogno di manette o pistole perché nei media tante persone… si imbavagliano da sole). Assai differente anche l’offensiva contro i diritti delle donne: Erdogan sta portando avanti, pur con una forte opposizione, quello che gli ultrà italiani catto-reazionari per ora possono soltanto sognare. Anche la repressione generalizzata non è paragonabile: in Italia non si viene arrestati per “tweet solidali” ma in Turchia accade di frequente. Diversissima la situazione rispetto al terrorismo sedicente islamico, versione Isis: il governo turco in teoria fa parte della “coalizione” contro lo Stato Islamico ma in pratica lo aiuta in ogni modo (e non solo in funzione anti-curda); un crimine simile non si può attribuire ai governi italiani anche se la stretta collaborazione militare con Erdogan – come con l’Arabia Saudita e altri governi reazionari – in qualche modo rende il nostro Paese complice di questi delitti.
E’ chiaro che giocare ai “parallelismi” è interessante quanto difficile. Ma bisogna avere anche buona memoria. A esempio quando Murat Cinar racconta che una tv turca mostra sfocato – cioè censurato – il leonardesco “uomo di Vitruvio”, prima di sdegnarsi proviamo a ricordarci se … cose del genere avvengono anche nell’ipocrita “bel Paese”.
Ovviamente il libro di Murat Cinar è pieno di storie e persone; come insegna il buon giornalismo è da qui che si parte per poi disegnare un quadro complessivo, tentare l’analisi. Impressionanti le storie di due grandi e coraggiosi giornalisti tolti di mezzo dal potere: Hrant Dink, assassinato il 18 gennaio 2012, per la sua tenacia nel riaprire “la questione armena” e Ugur Mumcu eliminato nel 1993. Fra i tanti, impuniti omicidi “di regime” anche quello di Tahir Elci, copresidente dell’Associazione avvocati, freddato durante una conferenza stampa a Diyarbakir nel novembre 2015. Ma c’è anche “il candelotto di Stato” che colpisce il quattordicenne Berkin Elvan, morto dopo 169 giorni di coma.
Fra le belle storie quella del cantautore Ahmet Kaya (*). Ai limiti dell’incredibile la vicenda – poco nota da noi – di Erdem Gunduz, che per protesta è rimasto immobile per ore, diventando un inconsapevole leader.
Ovviamente Murat Cinar racconta le tante facce della Turchia: le destre estreme ma anche i movimenti lgbttqi; la casta ma anche la resistenza; i venti di guerra con Siria e Russia; i curdi e le curde in lotta contro la repressione e le frontiere ma anche contro quel patriarcato… che spesso si affaccia dentro ognuno di noi.
Se guardate le sue auto-presentazioni vedrete che Murat si definisce, senza peli sulla lingua, «un giornalista turco che vive da anni a Torino, conoscitore della realtà del suo Paese di origine, in cui le libertà fondamentali del giornalisti vengono quotidianamente negate». Nella prefazione al libro, Stefano Pacini – a sua volta reporter e redattore di «Maremma libertaria» – preferisce vederlo come uno “strano soldato” di quell’esercito (senza divise o generali) che è composto dai «popoli dolenti in lotta per la libertà»."
(Imola, 2 giugno 2016 - Daniele Barbieri)
Elezioni, proteste, attentati e rifugiati. Negli ultimi due anni, questi temi hanno catalizzato l’attenzione dei media sulla Turchia, costantemente sulle pagine di cronaca per gli eventi che riguardano la situazione politica interna, le difficili relazioni con gli Stati vicini e, più recentemente, il ruolo chiave del Paese nell’accordo sull’accoglienza dei rifugiati siriani e il rilancio dei negoziati per l’ingresso in Europa.
Il giornalista Murat Çinar, classe ’81, arrivato in Italia per studiare cinema e fotografia dopo aver già intrapreso studi di economia a Istanbul, spiega nella sua guida i cambiamenti politici e sociali degli ultimi anni, descrivendo al lettore alcuni eventi, dal 2010, in modo da cogliere le ragioni di scelte politiche ed economiche, spiegando anche il ruolo dei principali attori socio-politici.
Il suo è un racconto dinamico, una cronaca arricchita di approfondimenti che, ogni tanto, si affaccia sul passato del Paese, spesso attraverso ricordi e testimonianze personali, introducendo così delle questioni non ancora superate né elaborate. Le stesse questioni che tutt’oggi continuano ad avere riflessi sulla politica e la società turca contemporanea.
Sono tanti i temi toccati nel libro ed è possibile suddividerli, a grandi linee, in temi quali il dissenso sociale, l’evoluzione dei partiti politici, i lati “oscuri” della politica, il dibattito sulla libertà di stampa, sulla questione armena e, infine, sulla questione curda che, a intrecciandosi alle vicende della guerra in Siria, richiede un’analisi degli altri attori dello scacchiere geopolitico mediorientale.
Il testo di Çinar si apre con un’analisi sui risultati del referendum del 12 settembre 2010 che, a distanza di 30 anni esatti, mirava a una riforma della Costituzione elaborata dopo il colpo di Stato del 1980. I cambiamenti proposti prevedevano una riduzione del ruolo del potere militare, con l’abolizione dell’articolo 15 sul divieto di processi nei confronti dei militari coinvolti nel Colpo di Stato, e altre riforme in merito all’indipendenza del potere giudiziario dalle azioni amministrative. L’approvazione del referendum, nel 2010, è stata interpretata come una volontà di cambiamento rispetto al regime militare e come una conferma del potere del partito al governo, il Partito Giustizia e Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP), nonostante già c’era chi esprimeva dubbi su una possibile svolta politica conservatrice.
Uno dei temi centrali del libro è il dissenso alle politiche del partito in carica, emerso già nel 2010 ma sfociato nelle proteste dell’estate del 2013. Come riportato dai media internazionali e da diversi studi sulla Turchia contemporanea, le proteste nate come reazione al progetto di costruire poi una moschea e un centro commerciale nel parco di Gezi, a Istanbul, dove sorge il centro culturale di Atatürk, sono diventate il punto di partenza manifestazioni contro il governo, organizzate da diversi gruppi sociali.
Nel raccontare i giorni di Gezi, Çinar offre una spiegazione delle motivazioni del malessere espresso da diversi gruppi per la distruzione delle “libertà personali e degli spazi fisici” (p.94). La sua narrazione è arricchita da storie come “sposarsi a Gezi” (p. 114), che mostrano il coinvolgimento e i legami personali creatisi in quei giorni. In aggiunta, nel testo sono contenuti anche importanti eventi post- Gezi, come le proteste per la morte dei “martiri di Gezi”, i ragazzi colpiti durante gli scontri e le reazioni delle famiglie, soprattutto, davanti a processi farsa che non hanno portato all’individuazione dei colpevoli o hanno visto pene ridotte per i poliziotti coinvolti. Come dimostrano le parole della lettera della famiglia di Berkin Elvan, il quindicenne colpito nel quartiere di Okmeydanı, il dolore per quelle morti non si arresta e le date dei compleanni diventano occasione per ricordare che “i bambini morti non crescono”(p. 196).
Il racconto degli eventi di Gezi è tra le parti più suggestive del testo di Çinar ma altrettanto importante è la puntuale descrizione de nuovi attori politici, emersi come possibile alternativa agli storici partici politici. Il nuovo attore politico apparso nel corso delle elezioni avvenute tra il 2014-2015 è, principalmente, il Partito Democratico dei Popoli (Haklarin Demokratik Pa rtisi– HDP), nato dal Partito della Pace e della Democrazia (Barış ve Demokrasi Partisi – BDP), un partito a maggioranza curda, presente soprattutto nel sud-est del Paese (p. 142).
E’ stato proprio il leader dell’HDP, l’avvocato Selahattin Demirtaş, già impegnato nell’Associazione per i Diritti Umani (IHD) con sede di Diyarbakir, ad emergere nell’estate del 2014 come candidato alle elezioni per il nuovo presidente della repubblica, le prime ad elezione diretta, dopo il referendum del 2007.
L’HDP di Demirtaş, che si è imposto anche come uno dei principali attori politici delle ultime elezioni parlamentari, conta oltre al carismatico leader altri personaggi popolari come Sırrı Süreyya Önder, giornalista e cineasta turco, diventato famoso per aver osteggiato lo sradicamento degli alberi nel Parco Gezi a Taksim (p.142), o Ebru Kırancı, consigliera transgender del comune di Zonguldak, città sulla costa del Mar Nero, e fondatrice della prima casa-rifugio per le persone transessuali a Istanbul (p.144). L’adesione della Kırancı all’HDP dimostra la popolarità del partito presso movimenti marginali, dell’ambiente, della cultura artistica, e presso le associazioni LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender), conquistandosi il titolo di “partito delle minoranze”.
In aggiunta agli attori politici, Çinar descrive anche altri attori sociali attivi nei giorni di Gezi, come i Giovani Musulmani Anticapitalisti e i Musulmani Rivoluzionari, che si pongono contro il capitalismo e i dettami della Direzione degli Affari Religiosi, con azioni che combinano proteste e dichiarazioni di fede.
Nel testo sono affrontati anche temi più complessi, quelli legati ai lati oscuri della politica, agli scandali, reali o presunti, in cui sono stati coinvolti diversi esponenti del governo. Scandali che sono rimbalzati sulla cronaca nel dicembre 2013, quando una maxi operazioni anti-corruzione ha portato ad arresti “eccellenti”, figli di ministri. Le operazioni di dicembre 2013 sono state una conseguenza della crisi tra l’AKP e uno dei suoi più forti sostenitori, il movimento del predicatore spirituale Fetullah Gülen che, negli anni, ha costruito un vero e proprio impero mediatico e conta diversi seguaci nei corpi della polizia e della magistratura ed è accusato di essere a capo di un’organizzazione terroristica. Come effetto dello scandalo, diversi ufficiali e magistrati sono stati rimossi mentre il Ministro dell’Economia, Mehmet Zafer Çağlayan, ha rassegnato le dimissioni, giustificando il suo atto come reazione ad un presunto colpo tentato ai danni del governo. Per altri, invece, il complotto gülenista è stato un espediente per distogliere l’attenzione dalle accuse nei confronti del governo. Sui processi in merito è stato imposto il silenzio stampa ma, dopo il consolidamento del potere AKP nelle amministrative e presidenziali del 2014, sono seguite nuove retate e arresti presso le sedi dei media collegati al movimento di Gülen.
La teoria del “complotto” contro lo Stato è un elemento ricorrente in molti processi che hanno coinvolto personaggi pubblici, militari, giornalisti e giudici. Tra i più casi più famosi, Ergenekon e la Gladio turca, denominata Kontrgerilla, che consisteva in un’organizzazione paramilitare anticomunista sostenuta dalla Nato durante la Guerra Fredda. Come testimonianza sulla nascita e l’evoluzione della Gladio turca, Çinar riporta l’intervista al giornalista e scrittore Soner Yalçın e a lui lascia il compito di rispondere ad uno degli interrogativi più frequenti, ovvero se l’organizzazione sia ancora attiva in Turchia (p. 86).
Parzialmente collegabile al tema degli scandali politici c’è quello della libertà di stampa. Diversi rapporti di enti internazionali denunciano i numerosi casi di arresto di giornalisti ritenuti colpevoli di aver rivelato segreti di Stato, come il direttore generale del quotidiano nazionale Cumhuriyet, Can Dündar, e del rappresentante della sede di Ankara, Erdem Gül. Entrambi sono stati arrestati il 26 novembre 2015 e, poi, condannati a cinque anni e dieci mesi, il primo, e cinque anni, il secondo, lo scorso 6 maggio 2016, per aver rivelato il traffico di armi in Siria, in cui sarebbe coinvolto anche il MIT, l’intelligence turca (p.247).
Per comprendere l’importanza del caso di Erdem Gül e Can Dündar si può vedere la risonanza internazionale del processo dello scorso maggio 2016, quando diversi consoli e rappresentanti delle istituzioni europee si sono recati al palazzo di giustizia, pronunciandosi contro la segretezza di un processo importante per comprendere il grado di apertura del Paese, anche contro l’invocazione della non ingerenza negli affari interni da parte del capo dello Stato turco.
Dündar e Gül hanno potuto avvantaggiarsi del supporto internazionale mentre meno fortunati sono i numerosi giornalisti di altre agenzie di stampa, per lo più filo curde, come gli operatori della Dicle Haber Ajansı (DİHA) fermati e arrestati con le accuse di riportare informazioni che potrebbero fungere da propaganda per le organizzazioni terroristiche di matrice curda.
Un altro caso legato alla libertà di stampa, ma anche alla questione armena, molto dibattuto nel testo di Çinar è l’assassinio del giornalista armeno Hrant Dink, capo redattore della rivista Agos, assassinato nel 2007. Come riportato nel libro, il ricordo del giornalista, in occasione dell’anniversario della morte o delle date del processo, riapre una ferita sociale. La stessa narrazione di Çinar acquista un tono più intimo, con l’aggiunta della traduzione di una lettera di Dink, in cui si parla della sostenibilità della vita umana (p. 50).
Il tono dell’autore diventa più distaccato e analitico nell’affrontare le posizioni ufficiali del governo in merito alla questione armena. Il governo di Erdoğan sembrava, infatti, aver mosso dei passi importanti verso la riconciliazione con un passato “scomodo”. In sua affermazione, quando era ancora Primo Ministro, il leader dell’AKP affermava: “ci auguriamo che gli armeni che hanno perso la vita all’inizio del ventesimo secolo riposino in pace e facciamo le nostre condoglianze ai loro nipoti” (p.157). Quest’affermazione, ampiamente riportata dai media nazionali, è stata un vero tentativo di riconciliazione o una mossa politica ambigua? Çinar, attraverso un’analisi di varie fonti, prova a offrire una visione più completa possibile della posizione ufficiale e com’è stata recepita.
Anche sulla questione curda, e alla sua implicazione nella guerra in Siria, l’autore cerca di offrire più elementi possibili di comprensione, soprattutto, in merito agli eventi della primavera del 2014, quando s’ipotizzava un intervento sul territorio.
L’escalation della presenza dell’ISIS sul territorio siriano e iracheno e la fuga in massa dalla Siria, dopo gli scontri iniziati il 15 settembre 2014 a Kobane, sono ampiamente trattati. Allo stesso tempo, nella narrazione sono presenti elementi che aiutano a capire alcuni punti fermi delle recenti negoziazioni tra Erdoğan e la Merkel, come quella della richiesta di una no-fly zone: “perché abbiamo un milione e mezzo di persone provenienti dalla Siria” (p.174).
Çinar racconta anche altre storie, come quelle di chi ha scelto di non prendere parte ai conflitti armati, combattendo una battaglia personale per avere il diritto di scegliere l’obiezione di coscienza, come dimostra la storia di Uğur Bilkay, nato nel 1992 in un villaggio della provincia di Bingöl, oggi mediatore culturale a Torino. Bilkay, di origine curda, è arrivato in Europa, dopo mille avventure, riuscendo ad ottenere lo status di rifugiato politico, dopo essersi opposto sia al servizio militare che alla militanza attiva nel PKK (pp. 210-213).
Il testo prosegue con un recente episodio di cronaca legato alla questione curda, l’assassinio dell’avvocato Tahir Elçi, il 30 Novembre 2015 (p.251). Come spiega Çinar, Elçi, co-presidente dell’associazione degli avvocati di Diyarbakır, è stato assassinato in un agguato durante una conferenza stampa per denunciare i danni al patrimonio storico e alla violazione dei diritti umani (p. 251).
Ed è con la libertà di stampa, e le sue limitazioni che si chiude il libro. Il tema è di forte impatto pubblico, come dimostrano anche i rapporti di Reporters Sans Frontièrs, che registrano una tendenza preoccupante, in un Paese che, a distanza di ormai sei anni da quel famoso referendum che avrebbe dovuto essere un vento di cambiamento, vede ancora tante questioni irrisolte o che non trovano accordo tra i diversi attori politici e sociali,
La “guida” di Çinar offre, quindi, ai lettori un utile strumento di comprensione sulle dinamiche di questo Paese in continua evoluzione. Un difetto del testo è di non essere eccessivamente curato nella forma e nell’editing. Tuttavia, questa “pecca” può diventare un’occasione e un pretesto per un proseguimento del lavoro di documentazione e informazione. Accrescendo, così, il pregio del libro, quello di introdurre il lettore alle questioni ancora aperte, calandolo negli eventi degli ultimi anni. Un compito non facile, considerata la quasi contemporaneità degli eventi a quel che sono le fasi di scrittura e analisi.
(Bologna, 1 Luglio 2016 - Valeria Ferraro)
Il giornalista Murat Çinar, classe ’81, arrivato in Italia per studiare cinema e fotografia dopo aver già intrapreso studi di economia a Istanbul, spiega nella sua guida i cambiamenti politici e sociali degli ultimi anni, descrivendo al lettore alcuni eventi, dal 2010, in modo da cogliere le ragioni di scelte politiche ed economiche, spiegando anche il ruolo dei principali attori socio-politici.
Il suo è un racconto dinamico, una cronaca arricchita di approfondimenti che, ogni tanto, si affaccia sul passato del Paese, spesso attraverso ricordi e testimonianze personali, introducendo così delle questioni non ancora superate né elaborate. Le stesse questioni che tutt’oggi continuano ad avere riflessi sulla politica e la società turca contemporanea.
Sono tanti i temi toccati nel libro ed è possibile suddividerli, a grandi linee, in temi quali il dissenso sociale, l’evoluzione dei partiti politici, i lati “oscuri” della politica, il dibattito sulla libertà di stampa, sulla questione armena e, infine, sulla questione curda che, a intrecciandosi alle vicende della guerra in Siria, richiede un’analisi degli altri attori dello scacchiere geopolitico mediorientale.
Il testo di Çinar si apre con un’analisi sui risultati del referendum del 12 settembre 2010 che, a distanza di 30 anni esatti, mirava a una riforma della Costituzione elaborata dopo il colpo di Stato del 1980. I cambiamenti proposti prevedevano una riduzione del ruolo del potere militare, con l’abolizione dell’articolo 15 sul divieto di processi nei confronti dei militari coinvolti nel Colpo di Stato, e altre riforme in merito all’indipendenza del potere giudiziario dalle azioni amministrative. L’approvazione del referendum, nel 2010, è stata interpretata come una volontà di cambiamento rispetto al regime militare e come una conferma del potere del partito al governo, il Partito Giustizia e Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP), nonostante già c’era chi esprimeva dubbi su una possibile svolta politica conservatrice.
Uno dei temi centrali del libro è il dissenso alle politiche del partito in carica, emerso già nel 2010 ma sfociato nelle proteste dell’estate del 2013. Come riportato dai media internazionali e da diversi studi sulla Turchia contemporanea, le proteste nate come reazione al progetto di costruire poi una moschea e un centro commerciale nel parco di Gezi, a Istanbul, dove sorge il centro culturale di Atatürk, sono diventate il punto di partenza manifestazioni contro il governo, organizzate da diversi gruppi sociali.
Nel raccontare i giorni di Gezi, Çinar offre una spiegazione delle motivazioni del malessere espresso da diversi gruppi per la distruzione delle “libertà personali e degli spazi fisici” (p.94). La sua narrazione è arricchita da storie come “sposarsi a Gezi” (p. 114), che mostrano il coinvolgimento e i legami personali creatisi in quei giorni. In aggiunta, nel testo sono contenuti anche importanti eventi post- Gezi, come le proteste per la morte dei “martiri di Gezi”, i ragazzi colpiti durante gli scontri e le reazioni delle famiglie, soprattutto, davanti a processi farsa che non hanno portato all’individuazione dei colpevoli o hanno visto pene ridotte per i poliziotti coinvolti. Come dimostrano le parole della lettera della famiglia di Berkin Elvan, il quindicenne colpito nel quartiere di Okmeydanı, il dolore per quelle morti non si arresta e le date dei compleanni diventano occasione per ricordare che “i bambini morti non crescono”(p. 196).
Il racconto degli eventi di Gezi è tra le parti più suggestive del testo di Çinar ma altrettanto importante è la puntuale descrizione de nuovi attori politici, emersi come possibile alternativa agli storici partici politici. Il nuovo attore politico apparso nel corso delle elezioni avvenute tra il 2014-2015 è, principalmente, il Partito Democratico dei Popoli (Haklarin Demokratik Pa rtisi– HDP), nato dal Partito della Pace e della Democrazia (Barış ve Demokrasi Partisi – BDP), un partito a maggioranza curda, presente soprattutto nel sud-est del Paese (p. 142).
E’ stato proprio il leader dell’HDP, l’avvocato Selahattin Demirtaş, già impegnato nell’Associazione per i Diritti Umani (IHD) con sede di Diyarbakir, ad emergere nell’estate del 2014 come candidato alle elezioni per il nuovo presidente della repubblica, le prime ad elezione diretta, dopo il referendum del 2007.
L’HDP di Demirtaş, che si è imposto anche come uno dei principali attori politici delle ultime elezioni parlamentari, conta oltre al carismatico leader altri personaggi popolari come Sırrı Süreyya Önder, giornalista e cineasta turco, diventato famoso per aver osteggiato lo sradicamento degli alberi nel Parco Gezi a Taksim (p.142), o Ebru Kırancı, consigliera transgender del comune di Zonguldak, città sulla costa del Mar Nero, e fondatrice della prima casa-rifugio per le persone transessuali a Istanbul (p.144). L’adesione della Kırancı all’HDP dimostra la popolarità del partito presso movimenti marginali, dell’ambiente, della cultura artistica, e presso le associazioni LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender), conquistandosi il titolo di “partito delle minoranze”.
In aggiunta agli attori politici, Çinar descrive anche altri attori sociali attivi nei giorni di Gezi, come i Giovani Musulmani Anticapitalisti e i Musulmani Rivoluzionari, che si pongono contro il capitalismo e i dettami della Direzione degli Affari Religiosi, con azioni che combinano proteste e dichiarazioni di fede.
Nel testo sono affrontati anche temi più complessi, quelli legati ai lati oscuri della politica, agli scandali, reali o presunti, in cui sono stati coinvolti diversi esponenti del governo. Scandali che sono rimbalzati sulla cronaca nel dicembre 2013, quando una maxi operazioni anti-corruzione ha portato ad arresti “eccellenti”, figli di ministri. Le operazioni di dicembre 2013 sono state una conseguenza della crisi tra l’AKP e uno dei suoi più forti sostenitori, il movimento del predicatore spirituale Fetullah Gülen che, negli anni, ha costruito un vero e proprio impero mediatico e conta diversi seguaci nei corpi della polizia e della magistratura ed è accusato di essere a capo di un’organizzazione terroristica. Come effetto dello scandalo, diversi ufficiali e magistrati sono stati rimossi mentre il Ministro dell’Economia, Mehmet Zafer Çağlayan, ha rassegnato le dimissioni, giustificando il suo atto come reazione ad un presunto colpo tentato ai danni del governo. Per altri, invece, il complotto gülenista è stato un espediente per distogliere l’attenzione dalle accuse nei confronti del governo. Sui processi in merito è stato imposto il silenzio stampa ma, dopo il consolidamento del potere AKP nelle amministrative e presidenziali del 2014, sono seguite nuove retate e arresti presso le sedi dei media collegati al movimento di Gülen.
La teoria del “complotto” contro lo Stato è un elemento ricorrente in molti processi che hanno coinvolto personaggi pubblici, militari, giornalisti e giudici. Tra i più casi più famosi, Ergenekon e la Gladio turca, denominata Kontrgerilla, che consisteva in un’organizzazione paramilitare anticomunista sostenuta dalla Nato durante la Guerra Fredda. Come testimonianza sulla nascita e l’evoluzione della Gladio turca, Çinar riporta l’intervista al giornalista e scrittore Soner Yalçın e a lui lascia il compito di rispondere ad uno degli interrogativi più frequenti, ovvero se l’organizzazione sia ancora attiva in Turchia (p. 86).
Parzialmente collegabile al tema degli scandali politici c’è quello della libertà di stampa. Diversi rapporti di enti internazionali denunciano i numerosi casi di arresto di giornalisti ritenuti colpevoli di aver rivelato segreti di Stato, come il direttore generale del quotidiano nazionale Cumhuriyet, Can Dündar, e del rappresentante della sede di Ankara, Erdem Gül. Entrambi sono stati arrestati il 26 novembre 2015 e, poi, condannati a cinque anni e dieci mesi, il primo, e cinque anni, il secondo, lo scorso 6 maggio 2016, per aver rivelato il traffico di armi in Siria, in cui sarebbe coinvolto anche il MIT, l’intelligence turca (p.247).
Per comprendere l’importanza del caso di Erdem Gül e Can Dündar si può vedere la risonanza internazionale del processo dello scorso maggio 2016, quando diversi consoli e rappresentanti delle istituzioni europee si sono recati al palazzo di giustizia, pronunciandosi contro la segretezza di un processo importante per comprendere il grado di apertura del Paese, anche contro l’invocazione della non ingerenza negli affari interni da parte del capo dello Stato turco.
Dündar e Gül hanno potuto avvantaggiarsi del supporto internazionale mentre meno fortunati sono i numerosi giornalisti di altre agenzie di stampa, per lo più filo curde, come gli operatori della Dicle Haber Ajansı (DİHA) fermati e arrestati con le accuse di riportare informazioni che potrebbero fungere da propaganda per le organizzazioni terroristiche di matrice curda.
Un altro caso legato alla libertà di stampa, ma anche alla questione armena, molto dibattuto nel testo di Çinar è l’assassinio del giornalista armeno Hrant Dink, capo redattore della rivista Agos, assassinato nel 2007. Come riportato nel libro, il ricordo del giornalista, in occasione dell’anniversario della morte o delle date del processo, riapre una ferita sociale. La stessa narrazione di Çinar acquista un tono più intimo, con l’aggiunta della traduzione di una lettera di Dink, in cui si parla della sostenibilità della vita umana (p. 50).
Il tono dell’autore diventa più distaccato e analitico nell’affrontare le posizioni ufficiali del governo in merito alla questione armena. Il governo di Erdoğan sembrava, infatti, aver mosso dei passi importanti verso la riconciliazione con un passato “scomodo”. In sua affermazione, quando era ancora Primo Ministro, il leader dell’AKP affermava: “ci auguriamo che gli armeni che hanno perso la vita all’inizio del ventesimo secolo riposino in pace e facciamo le nostre condoglianze ai loro nipoti” (p.157). Quest’affermazione, ampiamente riportata dai media nazionali, è stata un vero tentativo di riconciliazione o una mossa politica ambigua? Çinar, attraverso un’analisi di varie fonti, prova a offrire una visione più completa possibile della posizione ufficiale e com’è stata recepita.
Anche sulla questione curda, e alla sua implicazione nella guerra in Siria, l’autore cerca di offrire più elementi possibili di comprensione, soprattutto, in merito agli eventi della primavera del 2014, quando s’ipotizzava un intervento sul territorio.
L’escalation della presenza dell’ISIS sul territorio siriano e iracheno e la fuga in massa dalla Siria, dopo gli scontri iniziati il 15 settembre 2014 a Kobane, sono ampiamente trattati. Allo stesso tempo, nella narrazione sono presenti elementi che aiutano a capire alcuni punti fermi delle recenti negoziazioni tra Erdoğan e la Merkel, come quella della richiesta di una no-fly zone: “perché abbiamo un milione e mezzo di persone provenienti dalla Siria” (p.174).
Çinar racconta anche altre storie, come quelle di chi ha scelto di non prendere parte ai conflitti armati, combattendo una battaglia personale per avere il diritto di scegliere l’obiezione di coscienza, come dimostra la storia di Uğur Bilkay, nato nel 1992 in un villaggio della provincia di Bingöl, oggi mediatore culturale a Torino. Bilkay, di origine curda, è arrivato in Europa, dopo mille avventure, riuscendo ad ottenere lo status di rifugiato politico, dopo essersi opposto sia al servizio militare che alla militanza attiva nel PKK (pp. 210-213).
Il testo prosegue con un recente episodio di cronaca legato alla questione curda, l’assassinio dell’avvocato Tahir Elçi, il 30 Novembre 2015 (p.251). Come spiega Çinar, Elçi, co-presidente dell’associazione degli avvocati di Diyarbakır, è stato assassinato in un agguato durante una conferenza stampa per denunciare i danni al patrimonio storico e alla violazione dei diritti umani (p. 251).
Ed è con la libertà di stampa, e le sue limitazioni che si chiude il libro. Il tema è di forte impatto pubblico, come dimostrano anche i rapporti di Reporters Sans Frontièrs, che registrano una tendenza preoccupante, in un Paese che, a distanza di ormai sei anni da quel famoso referendum che avrebbe dovuto essere un vento di cambiamento, vede ancora tante questioni irrisolte o che non trovano accordo tra i diversi attori politici e sociali,
La “guida” di Çinar offre, quindi, ai lettori un utile strumento di comprensione sulle dinamiche di questo Paese in continua evoluzione. Un difetto del testo è di non essere eccessivamente curato nella forma e nell’editing. Tuttavia, questa “pecca” può diventare un’occasione e un pretesto per un proseguimento del lavoro di documentazione e informazione. Accrescendo, così, il pregio del libro, quello di introdurre il lettore alle questioni ancora aperte, calandolo negli eventi degli ultimi anni. Un compito non facile, considerata la quasi contemporaneità degli eventi a quel che sono le fasi di scrittura e analisi.
(Bologna, 1 Luglio 2016 - Valeria Ferraro)